L’anno dell’ignominia. L’anno della macchia peggiore in tutta la storia sportiva del Savona. Ma vediamo come si è arrivati a tanto.
A inizio estate del 2015 la Procura di Catanzaro scoperchia parte del marciume che girava in Serie C e D: vale a dire che era prassi di dirigenti, allenatori e giocatori vendersi o comunque “aggiustare” le partite. Nel frattempo anche la Digos di Catania sta indagando: la squadra etnea si autodenuncerà (tramite il suo presidente Pulvirenti) per avere alterato il risultato di almeno 5 gare, al fine di evitare la retrocessione. Lo scandalo sarebbe enorme: significherebbe stravolgere in toto la classifica di Serie B, coinvolgendo anche società di lignaggio e facendo totalmente perdere credibilità al secondo torneo nazionale. Per cui la Procura Federale (e non solo) decide di sviare l’attenzione generale da una possibile bomba mediatica a un’altra, di gestione molto più semplice.
Si dà ampio risalto alle indagini del filone di Catanzaro, tanto che per mesi neanche si sanno le società chiamate in causa dal patron del Catania, mettendo sotto la luce dei riflettori una partita in particolare: Savona-Teramo, che ai tempi era valsa la promozione in Serie B degli abruzzesi. Per arrivare a creare il maggior risalto possibile si forzano determinate situazioni: per esempio, si afferma che Barghigiani era in Direttore Sportivo del Savona, quando costui era sì incaricato della gestione tecnica (assieme al suo sodale Ceniccola) ma solo in qualità di consulente esterno e non di dipendente. Perché la Procura arriva a dichiarare il falso pur di coinvolgere la società? Prima di tutto perché il Savona godeva di stima pressoché nulla negli ambienti, proprio a causa della scelta di coinvolgere due personaggi chiacchieratissimi come Barghigiani e Ceniccola; in secondo luogo perché la mala gestione societaria, con stipendi pagati in ritardo, continue inadempienze finanziarie ecc. era sotto gli occhi di tutti; in terza analisi perché serviva fortissimamente una partita da far passare come la “madre di tutti gli scandali”, in modo da mettere in temporanea naftalina tutto il resto.
L’operazione riuscì a metà: nelle prime settimane Savona e Teramo furono investite da un’ondata di fango che le seppellì sotto titoloni sparati in prima pagina dai quotidiani sportivi, poi, man mano che le udienze si dipanavano, le cose non andarono proprio come desiderato dai vertici federali. L’accusa era così strutturata: il presidente del Teramo, tramite il suo direttore sportivo, il direttore sportivo dell’Aquila e l’ex allenatore Ninni Corda, avrebbero concordato con Barghigiani e Ceniccola di lasciar vincere il Teramo a Savona. Per ottenere ciò sarebbero stati coinvolti il presidente del Savona, Dellepiane, e il capitano, Cabeccia. In più, il presidente teramano dichiarò di avere versato 30.000 euro da dividersi fra tutti i protagonisti.
Giova ricordare che nell’ordinamento sportivo, in barba a qualsiasi forma di diritto, non serve provare le accuse: basta che ci sia uno (Corda) che dice di avere sentito da un altro (Barghigiani) che un terzo (il presidente del Teramo) ha tirato fuori dei soldi per comprare una partita. Non importa se è successo veramente o no, con la semplice diceria si scatena il putiferio. Chiunque fosse stato allo stadio il giorno di Savona-Teramo, si sarebbe reso conto con i suoi occhi della differenza di tasso tecnico fra una squadra prima in classifica e una, penultima, che era riuscita a mettere assieme la metà dei punti della capolista. Non parliamo poi della coppia d’attacco biancorossa: Lapadula-Donnarumma, due che andranno a giocare in Serie A, letteralmente imprendibili due categorie più in basso.
Nonostante l’evidenza della situazione, che rendeva assurda tutta la costruzione dell’accusa, pesò come un macigno la confessione del presidente abruzzese, unica vera vittima di una truffa all’italiana (sullo stile di Totò che vende la fontana di Trevi all’allocco americano): lui i soldi li tirò fuori veramente, ma si fermarono molto prima di raggiungere il presidente o i giocatori del Savona…
Il processo di primo grado finisce con la retrocessione del Savona, la società fa ricorso, lo vince e viene riammessa in serie C. Nel frattempo, però, il tempo passa: Riolfo e il nuovo D.S. Papa si arrampicano sugli specchi per riuscire a convincere dei giocatori a venire a Savona. Il nome dei biancoblù è sputtanato in tutta Italia, chiunque senta parlare di Savona si volta dall’altra parte. L’inizio stagione è traumatico, addirittura gli striscioni saltano le prime 3 giornate in attesa di conoscere l’esito della sentenza di secondo grado: si ricomincerà dalla 4a di andata, guarda caso Teramo-Savona. Con un calendario compresso all’inverosimile per far recuperare ai biancoblù le giornate saltate, la squadra di Riolfo riesce anche a compiere un piccolo miracolo sportivo e ad azzerare la penalizzazione il 1° di novembre, con la vittoria contro il Pisa. Il giorno dopo, però, arriva la mazzata che distrugge definitivamente il morale di tutto l’ambiente: altri 5 punti di penalizzazione per le reiterate irregolarità amministrative, che continuavano anche in un momento in cui si sarebbe dovuto dimostrare che la società era virtuosa, quindi degna della categoria che occupava. Invece, l’esatto contrario.
Si va così avanti fra ricorsi, controricorsi, penalizzazioni che aumentano, diminuiscono e non ci si capisce più nulla. Nel marasma generale ci finiscono tutti, tifosi, giocatori, allenatore e società, che a 8 giornate dalla fine prende una decisione incomprensibile, non nella sostanza ma nei tempi: via Riolfo e dentro un demotivatissimo Maurizio Braghin, che altro non può fare che accompagnare la squadra a una retrocessione, tanto mesta quanto scontata.
A corollario di tutto, va anche ricordato come a società pesantemente coinvolte nel calcio-scommesse con dirigenti e giocatori rei confessi o colti nell’evidenza dei fatti (quali, ad esempio, Santarcangelo e L’Aquila), non solo venne risparmiata la gogna mediatica toccata al Savona, ma vennero portate in giudizio solo a gennaio con richieste da parte dell’accusa, a parità di reato, ben più lievi rispetto a quanto fatto nei confronti dei biancoblù.
Autore: admin
2014-15
Il ritorno ai 3 gironi da 20 squadre l’uno coincise con un salto all’indietro di 37 anni, quando la categoria venne sdoppiata in C1 e C2. Passato il periodo delle vacche grasse, per la terza serie si imponeva una robusta cura dimagrante al fine di evitare la continua moria di società degli ultimi anni: rimaneva chi resisteva e aveva i conti a posto.
Quest’ultimo fu un punto rispettato per modo di dire, visto che i ricavi generati dalla categoria erano talmente esigui da permettere l’ingaggio (sì e no) di una mezza squadra: la panacea a tutti i mali sarebbe stato il ritorno al regime semiprofessionistico, sempre mutuato dall’esperienza dei decenni precedenti, ma l’Associazione Calciatori al proposito alzò le barricate e non se ne fece nulla.
A Savona la situazione era a dir poco esplosiva: le esternazioni presidenziali furono come una secchiata di acqua gelata su un fuoco che stava lentamente riaccendendosi, in più provocarono frizioni a non finire fra lo stesso presidente e l’allenatore. Corda era poco propenso ad abbassare le mire di gloria coltivate l’anno prima, ma fu costretto a smantellare la squadra che era arrivata a 2 partite dalla serie B. Rimasero in pochissimi: Antonelli, Carta, Demartis, Marchetti, Marconi e Quintavalla, segnale evidente che si doveva puntare alla salvezza e niente più. Ma il peggio doveva ancora venire: a pochi giorni dalla partenza per il ritiro Corda rassegna le dimissioni, motivandole con l’ostruzionismo del presidente nei confronti dei nominativi da lui proposti per la composizione della rosa, in pratica nessuno si fida più di nessuno.
Sono giorni convulsi, viene chiamato sulla panchina Arturo Di Napoli, ex giocatore di una certa fama in Serie A, reduce da una stagione disastrosa a Riccione e culminata col fallimento della società. Assieme a lui, ma al momento dietro le quinte, cominciano a muoversi Nicola Ceniccola e Marco Barghigiani… La squadra viene costruita in mezzo a mille difficoltà, ma alla fine c’è una parvenza di formazione in grado di reggere il campionato con dignità.
Molte perplessità alla presentazione dei gironi: il Savona viene spedito nel B, con trasferte ad Ascoli, L’Aquila, Teramo. Tutto abbastanza assurdo, ma così è. Assurda anche la decisione di spezzettare le giornate in un’infinità di gare scaglionate, per cui non solo al sabato si gioca a tre orari diversi, ma la domenica si comincia a giocare alle 11 del mattino, per poi proseguire alla mezza e così via! Un caos nel quale è veramente difficile raccapezzarsi e che viene giustificato da fantomatiche ragioni di “diritti televisivi” che, alla fine, porteranno briciole nei conti correnti delle società.
La stagione non parte neanche male: in Coppa Italia il Savona fa fuori il Terracina e si arrende a Bari (a quei tempi in Serie B) con un onorevolissimo 1-2; le prime tre giornate vedono i biancoblù conquistare 5 punti pur giocando 2 partite in trasferta; 4 sconfitte consecutive ricacciano gli striscioni nei bassifondi di classifica e poi… una partita che resterà nella storia. Quella tra Pontedera e Savona è infatti l’unica o fra le pochissime che siano cominciate in un giorno e finite in quello successivo!
A scanso di equivoci, va detto che l’orario d’inizio della gara furono le 20,45 di sabato 11 ottobre. Come fu quindi che la gara finì intorno all’una di notte della domenica? Nell’intervallo si scatenò un nubifragio di proporzioni gigantesche, che costrinse arbitro, giocatori, pubblico, tutti insomma, a cercare riparo alla meno peggio per proteggersi dalla furia dell’acqua. Di lasciare lo stadio neanche a parlarne: le strade si allagarono in un battibaleno, i fulmini cadevano tutto intorno peggio che in un bombardamento, si era in una situazione estrema. Dopo un paio d’ore di caos generale, l’arbitro fece capolino con dirigenti e giocatori e venne deciso di proseguire: il campo in sintetico aveva retto l’urto della furia degli elementi come meglio non avrebbe potuto, un quarto d’ora di riscaldamento e poi via con il secondo tempo quando ormai si era in prossimità della mezzanotte. L’1-1 finale venne fischiato quindi che si era già a domenica.
Un andamento altalenante ma in linea con le qualità della formazione, non permise a Di Napoli di mantenere la panchina: venne esonerato dopo la vittoria casalinga contro il Forlì, maturata in rimonta e in pieno recupero. La decisione (che lasciò perplesso più d’uno) fece il paio con l’annuncio dell’ingresso quali “consulenti esterni” dei ben noti Barghigiani e Ceniccola. La prima mossa dei due fu di andare a pescare un allenatore di settore giovanile: Antonio Aloisi, al primo incarico alla guida di una prima squadra. L’esperienza fu disastrosa: 5 punti in 10 partite fecero precipitare il Savona in fondo alla classifica, nel contempo i due “consulenti” aggiungevano danni ai danni. Il cambio di allenatore non fu casuale: arrivato alle soglie del mercato invernale, permise alla coppia di agire indisturbata con una serie infinita di operazioni in entrata e in uscita, tanto che alla fine il Savona si trovò ad avere ben 43 giocatori tesserati in una sola stagione! Un bailamme che diede il colpo di grazia alle già traballanti casse societarie.
Da questo continuo metti-e-togli la squadra ne uscì indubbiamente indebolita, ma anche frastornata e profondamente spaccata nello spogliatoio. Fortunatamente, dopo la sesta sconfitta in 8 giornate, si riaccese un barlume di sanità mentale anche nella mente del presidente, che si decise a cacciare Aloisi per mettere al suo posto il “cavallo di ritorno” Giancarlo Riolfo, acclamato dai tifosi come il salvatore della patria. In effetti, sotto la sua guida gli striscioni riuscirono ad ottenere due importantissime vittorie contro Pro Piacenza e (soprattutto) San Marino fuori casa: quest’ultimo un autentico spareggio-salvezza. Una volta ottenuta la certezza della partecipazione ai play-out, il Savona poté concentrarsi sulle due decisive sfide per mantenere la categoria, mentre altre 7 squadre lottavano allo stremo pur di evitare gli spareggi.
Alle sfide decisive, quindi, il Savona si presentò nella migliore condizione possibile mentre Gubbio e Forlì erano sulle gambe a causa della speranza della salvezza diretta, coltivata fino all’ultima giornata. Contro i rossoblu eugubini la partita non ebbe storia: solo la clamorosa impotenza realizzativa (secondo peggior attacco del girone) impedì agli Striscioni di trasformare in gol la mole di occasioni create. I gol di Demartis e Sanna (incredibile quest’ultimo, arrivato meno di un minuto dopo il gol del compagno di squadra: gli ospiti battono il calcio d’inizio, l’attaccante sale a pressare, conquista palla, s’invola verso la porta con i difensori a guardare e batte il portiere) sembrano indirizzare la sfida verso un finale scontato, ma una leggerezza di Marconi negli ultimi minuti fa respirare gli ospiti.
Il ritorno a Gubbio iniziò come meglio non avrebbe potuto: vantaggio di Carta e poi difesa e contropiede. I padroni di casa riuscirono a raddrizzare il risultato, ma non ad ottenere la vittoria che li avrebbe salvati. Settore ospiti in preda alla gioia più sfrenata con tanto di attesa all’autogrill, sulla strada del ritorno, per portare in trionfo il tecnico.
Con 8 anni di ritardo, quindi, Riolfo fece il miracolo: il Savona era in Serie C nonostante tutto e nonostante tutti. Il peggio, però, doveva ancora arrivare…
2013-14
La prima volta in Lega Pro 1, il tanto agognato ritorno nella fu Serie C coincise con il primo campionato disputato dal Savona senza retrocessioni perché, bontà loro, i vertici federali finalmente si resero conto che era impossibile tenere in piedi due divisioni di terza serie e decisero per l’accorpamento fra le 33 di prima divisione e le migliori 27 della seconda, in modo da tornare ai 3 vecchi gironi da 20 squadre: un salto all’indietro di 35 anni, quanto mai necessario vista la situazione del calcio italiano.
Il Savona cominciò la nuova avventura con una brutta figura epocale: infatti non si presentò nessuno alla cerimonia, in diretta televisiva, di presentazione dei gironi con contestuale premiazione delle società che avevano vinto il campionato precedente. “Credevamo riguardasse solo quelli che erano arrivati primi” fu l’imbarazzata (e imbarazzante) giustificazione data.
Nel frattempo l’instancabile Ninni Corda provvedeva a rinforzare ulteriormente una formazione già forte di suo: in assenza di retrocessioni ci si sarebbe anche potuti astenere dal farlo, ma una mossa del genere non era nel DNA del tecnico nuorese. I soldi, come al solito, erano “corti” ma la squadra guadagnò giocatori anche importanti per la categoria, conservando sempre un carattere da battaglia che metteva in difficoltà avversari molto più titolati.
Col senno di poi si può definire il campionato di maggiore spessore del Savona negli ultimi 50 anni, anche se all’epoca non tutti se ne resero conto. L’inizio non fu esaltante: doppia sconfitta in notturna contro Albinoleffe e Pavia, prontamente bilanciate da 3 vittorie consecutive contro Pro Patria, Cremonese in trasferta e Como. Il torneo andò avanti fra alti e bassi, con il picco della vittoria a Bergamo contro l’Albinoleffe (restituito il 3-2 subito all’andata) sciorinando un calcio veramente da categoria superiore. Qualche calo fisiologico in una squadra che faceva della grinta la sua arma migliore, ma sempre conservando una posizione più che dignitosa in classifica, tanto che si arrivò a poche giornate dalla fine con la possibilità di qualificarsi ai playoff per la promozione in serie B: una cosa impossibile da sognare fino a pochi anni prima.
Il sesto posto finale assicurò il quarto di finale contro il Vicenza, gara secca da disputarsi in Veneto. Chi decise di partire per godersi lo spettacolo del Savona che giocava per andare in serie B sapeva che, al di là della sconfitta di campionato per 4-0 determinata in larga parte da un arbitraggio che fu definito “esageratamente casalingo” persino dai giornalisti locali, le possibilità di cavare qualcosa di buono dal campo berico erano ridotte al lumicino: troppa la differenza di qualità in campo per sperare. Eppure… Eppure successe che il Savona giocò la partita perfetta, mettendo in serissima difficoltà i biancorossi, non mollando mai neanche una volta passato in svantaggio e, dopo il pareggio del solito Virdis, cercando di pungere anche nei supplementari. Una partita bellissima, vibrante, con occasioni da ambo le parti, in cui il pareggio fu il risultato più giusto. Insomma, si arrivò ai rigori e lì Aresti, sotto la curva di casa, tirò fuori il mantello di Superman, parando gli ultimi 3 rigori tirati dai padroni di casa e ribaltando così l’errore iniziale di Quintavalla. Delirio nella curva ospiti, con i tifosi biancoblù increduli e al tempo stesso ebbri di gioia.
La domenica successiva, per la prima delle semifinali contro la Pro Vercelli, il “Bacigalupo” era pieno in ogni ordine di posti (almeno quelli concessi dalla normativa vigente), i 4.000 tagliandi esauriti in prevendita. Scendono le squadre in campo, saluti di rito, palla al centro e dopo 25 secondi il Savona va in vantaggio: ci pensa come sempre Virdis. Le facce dei presenti (di quelli che sono sempre stati presenti, intendiamo) sono stravolte: non riescono a credere ai loro occhi! Se dopo il Vicenza tocca alla Pro Vercelli…
Non toccherà alla Pro Vercelli: i bianchi ribaltano il risultato e in casa loro mantengono un soffertissimo 1-1 fino all’ultimo minuto, quando segnano la rete che chiude definitivamente i conti. Ma il Savona è stato in lotta per arrivare in finale per tutti i 180 minuti dell’eliminatoria, il livello più alto mai toccato dal calcio savonese negli ultimi 50 anni.
Il livello più basso (ma non era solo che l’inizio) lo raggiunse il presidente Dellepiane, quando il giorno dopo se ne uscì a dichiarare “A Savona non ci sono i presupposti per puntare alla Serie B”: se voleva ammazzare l’entusiasmo di tutti ci è riuscito benissimo.
La rosa di quell’anno:
Portieri:
Aresti, Boerchio
Difensori:
Altobello, Galuppo, Giuliatto, Maccarrone, Marchetti, Marconi, Quintavalla, Spirito
Centrocampisti:
Agazzi, Carta, Cattaneo, Demartis, Gentile, La Rosa, Pani, Puccio, Simoncelli
Attaccanti:
Cesarini, Esposito, Grandolfo, Marras, Sarao, Virdis
2012-13
Prima stagione “vera” dell’era-Dellepiane, nel senso che è la prima che comincia con l’imprenditore valbormidese già al posto di comando. Il riconfermatissimo Ninni Corda continua la sua gestione “all’inglese” fungendo non solo da allenatore, ma anche da direttore sportivo: la pattuglia dei sardi si amplia ulteriormente, in più vengono chiamati giovani di belle speranze per rinforzare una squadra che l’anno prima ha lottato alla brava, denunciando però anche limiti tecnici e di organico. Adesso i problemi di natura economica sono superati, quindi la rosa è decisamente più completa.
Il primo scossone arriva alla compilazione dei gironi: a Firenze devono avere seri problemi con la geografia e piazzano il Milazzo (provincia di Messina) nel girone Nord! Incredulità, ironia all’inizio, dopo nessuno si stupisce se i mamertini a metà campionato praticamente si ritirano per gli enormi problemi economici che la folle collocazione gli ha comportato.
Il secondo arriva alla presentazione della squadra: Palacrociere gremito di tifosi tutti con il naso all’insù per scoprire nuovi e vecchi giocatori che, assieme ai dirigenti, stanno sulle balconate che dal primo piano guardano sulla sala sottostante. Le prime dichiarazioni pubbliche della dirigenza sono un susseguirsi di “Passo lungo come la gamba”, “Equilibrio finanziario prima di tutto”, “La salvezza obiettivo principale” e via di questo passo, poi arriva Francesco Virdis che candido candido dice: “Io sono venuto a Savona per vincere il campionato e il titolo di capocannoniere del girone”. Facce sbigottite dei vicini, i tifosi sotto accolgono l’uscita con risate e applausi: insomma, non ci crede nessuno. Invece…
Ma andiamo con ordine: Francesco Virdis era una promessa mai sbocciata del calcio italiano che Ninni Corda andò a pescare nel misconosciuto Progetto Calcio di Sant’Elia, squadra di un quartiere di Cagliari, dove l’attaccante segnò ben 20 gol in 25 partite in serie D. Una vera e propria scommessa, quindi, che a Savona poi sarebbe diventato l’icona del calcio negli anni ’10 del secondo millennio, tanto da stabilircisi e mettere su famiglia. Ma chi lo conosceva al tempo della sua esternazione “politicamente scorretta”?
Il campionato comincia come meglio non potrebbe: prime 4 giornate e 4 vittorie, la prima addirittura sul campo della strafavorita Pro Patria, che per 2 anni consecutivi ha dovuto rinunciare al salto di categoria causa penalizzazioni per irregolarità economiche. Il primo inciampo a Santarcangelo di Romagna, in uno stadio tabù per il Savona, poi un’altra serie positiva mantiene i biancoblù a stretto contatto della vetta. Il girone di ritorno vede prima la clamorosa, rocambolesca vittoria contro il Renate, ribaltato da 0-2 a 3-2 negli ultimi 7 minuti in pieno Corda-style, poi l’altrettanto clamorosa vittoria ad Alessandria con doppietta di Virdis, infine la vittoria (anche lì a una manciata di minuti dalla fine) sempre in rimonta contro il Bassano. Un finale di campionato al cardiopalmo, con il Savona che ogni volta che andava sull’Adriatico (Fano, Bellaria, Rimini, Giacomense, Santarcangelo, Venezia citate in ordine sparso) tornava sempre a casa con le pive nel sacco, ma senza che le dirette inseguitrici riuscissero ad approfittarne. Incredibile quello che successe a Rimini alla terz’ultima di campionato: Savona spianato 2-0 in una partita praticamente non giocata Tifosi prima furibondi e poi increduli per le notizie che arrivavano dagli altri campi: Bassano-Pro Patria 0-0, Venezia che, in vantaggio 3-1 contro la Giacomense, si fa rimontare fino al 3-3 nel recupero e Monza che contro lo straultimo Milazzo non va oltre lo 0-0!
Per essere promossi matematicamente ai biancoblù basta vincere l’ultima partita casalinga dell’anno, contro un Vallée d’Aoste che a sua volta lotta per non retrocedere. La partita (non c’erano dubbi) lascia con il cuore in gola almeno per tutto il primo tempo: ospiti subito in vantaggio, poi De Martis in 2 minuti rimette le cose a posto, infine ci pensa Mannoni con una giocata strepitosa a chiudere i discorsi.
Insomma, il Savona ha vinto il campionato e Virdis, con la doppietta di Venezia la domenica successiva, si aggiudica pure il titolo di capocannoniere del girone: proprio come predetto dal bomber il giorno della presentazione.
In un’annata trionfale purtroppo non ci fu spazio solo per i sorrisi: il 24 marzo, una domenica freddissima di vento e neve, Paolo Ponzo venne stroncato da un malore durante una corsa in montagna. L’ex capitano del Savona era anche il responsabile del settore giovanile biancoblù e la notizia sconvolse i tanti che negli anni avevano apprezzato l’uomo prima ancora che il calciatore.
La rosa vincitrice del torneo:
Portieri:
Aresti, Gozzi
Difensori:
Antonelli, Belfiore, Marconi, Miale, Quintavalla, Sentinelli, Taino
Centrocampisti:
Agazzi, Baglione, Carta, Cattaneo, Demartis, Gallon, Gentile, La Rosa, Mannoni, Mazzotti, Melis, Molino
Attaccanti:
Fantini, Romero, Scotto, Virdis
2011-12
Il secondo anno fra i professionisti comincia fra mille incertezze e un consistente taglio delle spese. Le incertezze riguardano in primo luogo il campionato: a seguito dell’ennesima inchiesta sul calcio-scommesse il torneo viene stravolto, con sole 41 formazioni iscritte si vanno a comporre 2 gironi, uno da 20 squadre (quello del Savona) e l’altro da 21, le promozioni salgono a 3 per girone, le retrocessioni restano 9 con spareggio fra le vincitrici dei playout dei 2 raggruppamenti.
Il Savona ha archiviato i momenti di grandeur che portavano a spese pazze, l’organico viene fortemente ridimensionato, ci si affida a un tecnico semi-sconosciuto ma ambiziosissimo: Ninni Corda. Nel suo freschissimo palmarès (al suo arrivo a Savona aveva 38 anni) anche la promozione dalla serie D con il Como, tre anni prima. Chiama giocatori di sua fiducia, crea una sorta di colonia sarda in terra di Liguria, ma soprattutto fa svolgere allenamenti mai visti da queste parti: l’intensità è il suo primo credo, la squadra non deve mollare mai, durante la settimana i giocatori si scannano ma alla domenica non danno respiro agli avversari. Sangue e arena, non sempre le cose vanno bene ma la capacità di reazione alle avversità è massima: anche quando alla prima giornata si infortuna quello che avrebbe dovuto essere la punta di diamante dell’attacco savonese, quel Salvatore Amirante che, non avesse subito una serie impressionante di sventure fisiche, avrebbe calcato terreni di gioco molto ma molto importanti.
Una disposizione mentale del genere è stata più che mai importante nel prosieguo della stagione, quando alle voci seguirono i fatti: le difficoltà economiche del gruppo capitanate da Andrea Pesce erano sempre più palesi, fin quando non si arrivò alla decisione di portare i libri in tribunale. Fallimento nel bel mezzo della stagione sportiva, era già successo con Russo ma a quei tempi si era nei dilettanti e le spese erano molto più contenute, senza contare le penalizzazioni per i mancati versamenti dei contributi. Mentre la barca stava affondando i tifosi presero il toro per le corna e decisero di dare vita a una raccolta di fondi per permettere alla squadra di continuare a giocare: offerta libera a partire da 1 euro. Ne furono tirati su a migliaia con l’apice della trasferta di Lecco, interamente finanziata dai tifosi e vinta dalla squadra per 4-1. Così, fra convenzioni stipulate con mense e ristoranti, alloggi in affitto “calmierato”, salti mortali da parte un po’ di tutti (i pochi dirigenti e dipendenti rimasti, allenatore e giocatori in primis), si riuscirono a tamponare quelle settimane prima che fosse nominato il curatore fallimentare.
Arrivò Natale e non si sapeva chi sarebbe tornato e chi no: in effetti ci furono delle defezioni, ma il gruppo nel suo insieme aveva preso una coesione non da poco. Non si molla mai, in pieno stile-Ninni Corda.
Nel frattempo il curatore fallimentare aveva preso contatti un po’ con tutti per cercare qualcuno interessato almeno a far finire la stagione sportiva: si presentarono Aldo Dellepiane e Fabrizio Barbano che, insieme a una serie di soci, garantirono la continuità economica fino al momento dell’asta per la cessione del titolo sportivo. La squadra intanto andava avanti a corrente alternata, il cielo continuava ad essere plumbeo e i giocatori non potevano non risentirne. Arrivavano anche i punti di penalizzazione (alla fine sarebbero stati ben 7) che andavano ad appesantire una classifica non splendida.
L’impasse più grosso si ebbe al momento dell’asta: nessuna offerta nelle prime due convocazioni, il momento della fine sembrava essere veramente a un passo. All’ultimo istante, però, un riluttante Dellepiane veniva convinto ad acquistare il Savona alla cifra simbolica di 1 euro, evitando così la sparizione dal calcio. Illuminante al proposito la risposta che il neo-presidente diede al cronista che gli chiese perché avesse comprato il Savona: “Perché mi andava di farlo”, la riposta che gelò gli astanti.
Comunque, in un modo o nell’altro, la squadra potè concludere il campionato, salvandosi addirittura senza passare dai playout e facendo pure segnare il record di marcature in campionato per un portiere del Savona. Furono infatti 2 i gol di Aresti: uno contro la Giacomense direttamente su rinvio e con l’ausilio della tramontana, l’altro contro il Renate nella mischia dell’ultimo istante. Giusto per ribadire qual’era lo spirito di una squadra che non mollava mai…